CRISI CINA-AUSTRALIA: OCCASIONE PER I VINI ITALIANI
La corsia preferenziale aperta dai cinesi verso i vini australiani è ormai sbarrata. E per gli italiani, che sono i principali competitor degli australiani nel mercato più promettente del mondo, si prospettano crescite significative.
Tutto ha avuto origine da quello che il governo cinese ha presentato come un “danno sostanziale” subito dall’industria vitivinicola nazionale a seguito di presunte sovvenzioni date al vino australiano importato, e che ha comportato l’adozione di dazi ingenti verso i vini provenienti da quello che era diventato il primo Paese esportatore in Cina. Le misure variano tra il 107,1% e il 212,1 percento. Una mossa che, al di là delle dichiarazioni governative, gli analisti hanno ricollegato allo scontro in atto sulla costruzione della rete per il 5G, con gli australiani che da tempo hanno a loro volta bloccato la strada alla cinese Huawei.
Non contenti di questa prima misura, i cinesi hanno applicato una serie di prelievi aggiuntivi, pari al 6,3-6,4% e che, secondo quanto riporta la testata britannica The Drink Business, entreranno in vigore da oggi e dovrebbero durare per tutta l’indagine avviata dalla Cina, i cui risultati dovrebbero essere comunicati non prima di ottobre 2021.
Le proteste australiane sono state espresse dal ceo dell’istituto Australian Grape & Wine, Tony Battaglene, il quale ha affermato che “non ci sono prove” a sostegno delle richieste di dumping e “nessuna prova a sostegno del fatto che le esportazioni di vino australiane abbiano causato danni all’industria vinicola nazionale cinese. Tuttavia, non siamo fiduciosi che il governo cinese annullerà questa decisione che a qualsiasi osservatore ragionevole sembra essere motivata politicamente e non di fatto”. Analoghe misure sono in corso di adozione, da parte cinese, verso orzo, carne rossa, aragoste, carbone, cotone e legname di importazione dall’Australia.
Per i produttori australiani, la prospettiva di un blocco dell’export in Cina rappresenta un problema centrale. Si tratta del loro primo mercato estero, da cui dipende il 40% dell’export complessivo, e nell’ultimo anno (periodo ottobre 2019-settembre 2020) è stato superato il record storico, con vendite per 1,17 miliardi di dollari (+4%). Ora, a seguito dell’incremento vertiginoso delle tasse all’import, il giro d’affari pare destinato a scendere altrettanto vertiginosamente. E qui potrebbe entrare in gioco l’Italia, che invece pare in piena ripresa nelle esportazioni verso la Cina.
Al di là dell’incremento della produzione interna, i cinesi sono sempre molto attratti dal vino di importazione e se nella fascia top hanno una naturale predilezione per le etichette francesi, comunque in forte calo nell’anno in corso (con perdite per 165 milioni), nella fascia medio-premium l’impressione è che gli italiani se la giochino proprio contro gli australiani, i quali però potevano contare, al pari di alcune nazioni sudamericane, su un vero e proprio canale preferenziale. I giochi si faranno da qui a un anno, ma un primo test ci sarà all’inizio del nuovo anno, quando i cinesi acquisteranno prodotti legati a un Capodanno lunare importante, il primo dopo il Covid. Con le etichette australiane già sottoposte a dazio, i vini italiani avranno possibilità concrete di incremento.
Del resto, che la situazione in Cina si stia sbloccando è stato già evidenziato da diversi operatori. Tra questi compare Edoardo Freddi, il quale nei giorni scorsi ha dichiarato un incremento del 20% per l’export dei vini che compaiono nel suo portafoglio (tra questi il top di gamma San Leonardo e i vini accessibili di Codice Citra), con scelte indirizzate verso la fascia più alta o verso l’entry level. E anche Giorgio Tinazzi, responsabile export dell’azienda di famiglia con sede a Lazise (Verona), ha confermato un recupero in atto, precisando che: “Il sentiment della Cina verso l’Italia in questo momento è molto forte, per ragioni che dipendono dagli interscambi commerciali avviati e anche dalle conseguenze del Covid, che ha visto la Cina e l’Italia come le due nazioni inizialmente più colpite dal contagio. Abbiamo costruito ottime relazioni e, curandole, possiamo cogliere risultati importanti, a patto che si disponga di persone che parlano il cinese e che conoscano le loro modalità di gestione delle trattative”.